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L’IA è davvero intelligente?

Questa cosa dell’intelligenza artificiale a tratti è inquietante. Ci sono questi robottini col sorriso, auto che non hanno più bisogno della nostra mano, ci sono i semafori intelligenti, c’è l’assistente vocale che ci permette di controllare, semplicemente parlando (ovvero esprimendoci nel modo più naturale che abbiamo per comunicare già a pochi mesi di vita) una molteplicità di oggetti, servizi, contenuti.

Parliamo di algoritmi, di interazioni sempre più empatiche tra l’uomo e le macchine, dibattiamo di strumenti tecnologici che desiderano realizzare ogni nostro più fervido desiderio. Arriva l’urgenza di ascoltare una canzone, di ottenere un indirizzo, di chiamare al telefono qualcuno? Nessun problema. Si strofina la lampada magica di Alexa ed ecco che esce il genio. Già, il genio proprio nel senso di geniale. Perché quello che spaventa, forse, e che allo stesso tempo attrae come una calamita e affascina come una sirena è proprio questa quantità straordinaria di intelligenza, questo concentrato di “cultura” che sembra esserci “dietro” o, forse meglio dire, “dentro” un qualunque strumento tecnologico.

Quello che cerca di fare una macchina è agire e pensare come un uomo. E come una donna, ovviamente. Comunicare proprio come facciamo noi insomma. In modo primitivo e ancestrale. E poi apprende. Come un bambino, come un adulto. In qualche modo, con lo studio.

L’IA è un fiume in piena che è necessario, però, definire perché il confine è rappresentato dall’etica. Lo dicono i filosofi, i giuristi, i matematici e gli industriali. Sei mesi fa, l’Unione Europea ha elaborato, non a caso, il suo Codice Etico, contenente le linee guida su utilizzo e sviluppo di sistemi di Intelligenza Artificiale. Quale il principio fondante? La centralità dell’uomo, nell’ottica del bene comune e del rispetto della libertà e della dignità.

Ed ecco che cade la paura verso qualcosa che non conosciamo o non capiamo appieno. Almeno in parte. L’algoritmo entra tra i nostri neuroni e cerca di indagare il nostro pensiero, il nostro dubbio, il nostro ragionamento. Si insinua tra i nostri pensieri per decriptare percorsi che sono intellettivi ma anche emotivi e che all’improvviso diventavo sociali.

Qualche giorno fa chattavo col Bot della mia banca. È stato carino, ci ha proprio provato a risolverei il problema che gli ho posto. Ma poi nulla, si è arreso. E con la stessa gentilezza mi ha passato un vero e proprio umano. Che è stato meno gentile, ma più efficace. Così come saranno sempre più proficue le applicazioni in campo medico e farmaceutico. Quindi alla fine la domanda è: chi è davvero intelligente? Chi fa più paura?

Annalisa D’Errico

Giornalista e comunicatrice

Photo by Tomas Robertson on Unsplash

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