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Farian Sabahi

Farian Sabahi è scrittrice e giornalista specializzata sul Medio Oriente e nello specifico su Iran e Yemen, con un’attenzione particolare alle questioni di genere. Insegna all’interno del seminario “Relazioni internazionali del Medio Oriente” all’Università della Valle d’Aosta. È autrice della “Lettera a Papa Francesco per combattere la violenza contro le donne”, nella quale si racconta la storia di Ginevra, una piemontese madre di 4 figli, vittima di soprusi da parte del marito, che trova il coraggio di denunciare la sua condizione, spezzando così la spirale in cui è imprigionata. La lettera termina con un appello affinché i sacerdoti non assolvano, sempre e comunque, gli uomini violenti.

Come può una donna farsi interprete della società contemporanea e pensare al cambiamento, di sè stessa e di quello che c’è intorno a lei?
Con le stesse modalità con cui un uomo innesca il cambiamento: guardandosi attorno, con spirito critico, per poi agire. Possibilmente facendo network perché unendo le forze si hanno maggiori possibilità di successo.

Il giornalismo e la comunicazione come possono, secondo lei, aiutare le donne nei processi di crescita ed emancipazione?
Non credo che giornalismo e comunicazione possano servire granché in assenza di contenuti: per fare avvio ai processi di crescita ed emancipazione è necessario studiare, approfondire, implementare. Solo in una fase successiva il giornalismo entra in gioco, diventando lo strumento, spesso indispensabile, per comunicare le nostre azioni. In tutto questo, nella crescita e nell’emancipazione, è necessaria molta tenacia. Senza tenacia, non si arriva da nessuna parte. Ed è proprio quando viene voglia di mollare che invece bisogna trovare la forza per andare avanti. Vale nello studio, nel lavoro, nei rapporti di coppia.

Ha da poco inaugurato al Museo d’arte orientale di Torino l’installazione “I Bambini di Teheran”: un progetto che ha curato in prima persona per raccontare ai visitatori – fino all”11 Febbraio 2018 – uno dei periodi più bui dell’Europa del XX secolo, ma anche una storia di accoglienza, di quando fu l’Iran a farsi carico dei profughi polacchi, ebrei e cattolici, provenienti dall’Europa. Quanta strada dobbiamo ancora fare, secondo lei, sul tema dell’accoglienza?
Per capire il presente è necessario leggere la Storia. Il senso del mio lavoro è proprio questo: l’Iran gode di pessima stampa, ma è da sempre terra di accoglienza anche se in pochi sembrano saperlo in Italia. Quando i Talebani hanno preso il potere a Kabul, la Repubblica islamica dell’Iran ha accolto quattro milioni di rifugiati afgani. E durante la Seconda guerra mondiale, mentre in Europa gli ebrei venivano sterminati, gli iraniani davano rifugio a migliaia di profughi ebrei e cattolici. Nel video I Bambini di Teheran i quattro uomini che ho intervistato raccontano le proprie vicende individuali, mentre la Storia è narrata da un adolescente, che recita anche la poesia di Nathan Alterman che chiude il documentario. Versi che ci fanno capire come i bambini possano, per le esperienze vissute, sentirsi già vecchi. Questo vale per gli ebrei sopravvissuti all’Olocausto, ma anche per i tanti minorenni che stanno arrivando in Europa.

Annalisa D’Errico, giornalista ed esperta di comunicazione.

 

Nella prima immagine Farian Sabahi, foto di Elena Perlino.
Nella seconda immagine Farian Sabahi e il padre Taher  Sabahi nel caveau del suo museo del tappeto, foto di Elena Perlino.

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